Editoriale rivista n°7– Dicembre 2014
Dott. Dott. G.Sindaco, Dott. Marco La Grua
L’introduzione della legge 38/2010 è stata un importante passo avanti per chi si occupa del trattamento del dolore persistente e cronico.
Purtroppo, come ogni medaglia, anche tale legge ha due facce; se da un lato ha reso più semplice la prescrizione di farmaci oppioidi e ne ha evidenziato l’enorme importanza nel trattamento del dolore, con grandi vantaggi in termini di efficacia e sicurezza nei confronti del danno d’organo rispetto all’utilizzo di FANS (che attualmente restano però sempre al primo posto fra i farmaci prescritti nel trattamento del dolore), la “banalizzazione” dell’utilizzo degli oppioidi, l’estensione del loro utilizzo anche nel trattamento del dolore persistente o cronico, fa si che si generi un importante pericolo nel potenziale abuso, nell’interazione con sistemi di regolazione omeostatica di tali molecole e la nascita di problematiche di tipo medico-legale.
Vorrei ricordare che il problema è di rilevanza tale che, su alcune riviste dedicate a coloro che si dedicano al trattamento del dolore come Pain Medicine, esiste in ogni numero una sezione appositamente dedicata al problema dell’abuso ed addiction da farmaci analgesici, poiché nei paesi anglosassoni tali problematiche si sono già ampiamente manifestate.
Negli Stati Uniti le morti determinate dall’abuso e misuso di ossicodone ed altri oppioidi analgesici hanno superato il numero di quelle provocate insieme da cocaina ed eroina per uso illecito, dimostrandoci quali siano le dimensioni del problema (New England Journal of Medicine 2010, 363:1981-5).
In Italia una newsletter di pochi mesi fa prodotta dal Gruppo di Studio AISD (Associazione Italiana Studi Sul Dolore) sulla legge 38 ha richiamato l’attenzione sulla problematica connessa all’utilizzo di tali farmaci e idoneità alla guida di autoveicoli.
La diffusione e l’utilizzo a volte poco ponderato di farmaci oppioidi infatti si spinge alla prescrizione di dosaggi anche molto elevati a soggetti affetti da dolore non oncologico ed in piena attività lavorativa, senza che siano state valutate altre opzioni terapeutiche al di fuori di quella farmacologica e pur in assenza di dati EBM che ne convalidino l’utilizzo nel medio–lungo termine nel trattamento del dolore cronico e persistente non oncologico (come dalla ultima revisione Cochrane disponibile sull’argomento).
E’ per tale motivo che questo numero della rivista Medicina del Dolore dedica la sua attenzione al problema degli oppioidi, mettendo in luce sia i notevoli aspetti positivi, sia le meno conosciute ombre su questi farmaci.
L’impatto neuroendocrino trattato dalla prof.ssa Aloisi ci addentrerà nell’enorme complessità biologica in cui gli oppioidi vanno ad agire.
L’evidenza clinica, data per scontata, vedremo che così scontata non è!
Il dott. La Grua metterà “al banco” del processo di EBM gli oppioidi.
Il DSM V ha cambiato le definizioni di abuso e dipendenza: vedremo di orientarci con il Dott. Frivoli, alla luce delle scoperte nella neurobiologia dei meccanismi di gratificazione, in questo campo in cui una netta separazione tra le due non c’è, ma le esigenze pratiche la richiedono sempre più.
I campanelli d’allarme e gli strumenti di gestione nel paziente a rischio d’abuso esistono: la dott.ssa Paci e la dott.ssa Ravaioli approfondiranno il tema della presa in carico del paziente a rischio.
L’esperienza americana sull’uso (o meglio dire l’abuso) degli oppioidi ci può essere d’aiuto?
Il dott. Gallo cercherà di dare una risposta a questa domanda.
Infine il Dott. Zanella traccerrà una rotta sulla gestione degli oppioidi nella medicina del dolore oggi, alla luce di tutti i topics trattatti e proponendo un uso razionale e di buon senso di queste importanti armi contro il dolore.
La conclusione è che la terapia del dolore esclusivamente e indiscriminatamente basata sul trattamento farmacologico con oppiodi e adiuvanti ha di per sé una potenziale invasività, che può andare ad incidere sulla capacità di condurre una normale vita di relazione da parte dei pazienti e sul potenziale sviluppo di sindromi da abuso e dipendenza.
Questi trattamenti perciò non devono essere banalizzati, come invece purtroppo è successo anche per messaggi provenienti dalle case produttrici che hanno mirato ad estendere l’utilizzo degli oppioidi anche in setting diversi da quello del trattamento oncologico e che comunque non sono le uniche responsabili di atteggiamenti eccessivamente liberali nell’utilizzo di oppioidi.
Il rischio è che, sull’onda emotiva di qualche evento sentinella che non mancherà di manifestarsi nel futuro prossimo se si continuerà in un utilizzo indiscriminato e poco controllato di tali molecole, si assista ad un ritorno alle origini della regolamentazione, cioè ad un regime prescrittivo che renda difficoltoso anche l’utilizzo mirato dei farmaci oppioidi dove realmente necessario.