Editoriale rivista n°13 – Dicembre 2017 – Cannabis
Dott. Gilberto Pari
Come si è arrivati alla Cannabis terapeutica
Alla fine degli anni 70 furono costituiti servizi specifici per la cura e la prevenzione delle tossicodipendenze (CMAS, poi diventati SERT).
Allora collaboravo in forma volontaria, da giovane anestesista, con queste nuove strutture che avevano lo scopo principale di riportare sulla “retta via” i cosiddetti “tossici”.
Si trattava, nella stragrande maggioranza, di tossicodipendenti da eroina.
Il fenomeno interessava prevalentemente ragazzi giovani appartenenti a vari livelli sociali ed economici, che si ritrovavano la vita devastata dall’assunzione di questa droga.
Già allora era nostra convinzione che i fattori sociali svolgessero un ruolo importante, ma anche che l’instaurarsi di una tossicodipendenza richiedesse una serie di concause predisponenti sino, forse, ad una predisposizione genetica.
Proprio con questo spirito organizzammo un congresso sulle “Cause Biologiche della Malattia Eroina”.
Ho vissuto molti tentativi di disintossicazione, anche cruenti, quali mantenere il “soggetto” in anestesia generale fino al superamento della crisi di astinenza.
Ho visto morire pazienti diventati “amici” e amici diventati pazienti.
Molti di questi ragazzi avevano iniziato la loro storia di eroina fumando droghe leggere, ma ovviamente ciò non significa che tutti quelli che hanno fumato droghe leggere siano diventati eroinomani.
In quegli anni, procurarsi della sola morfina a scopo terapeutico per patologie oncologiche era spesso impresa ardua ed i pazienti che ne facevano uso erano veramente rari. I medici la prescrivevano con estrema difficoltà e con estrema attenzione. Dare morfina voleva dire dare una “droga” ai pazienti, con tutte le difficoltà sociali e culturali conseguenti.
Ricordo ancora con quanta efficacia riuscivo a “lenire” il dolore utilizzando il metadone nei pazienti oncologici: peccato fosse estremamente difficile procurarselo per trattamenti in pazienti non tossicodipendenti.
La legge 38
Il 2010 con la legge 38 ha segnato certamente una svolta epocale in tal senso. Ma oltre ad innegabili vantaggi normativi, ha in breve tempo portato ad eccessi prescrittivi di oppiacei nei pazienti non oncologici, facendo risalire velocemente l’Italia nella classifica delle prescrizioni annue di oppioidi, proprio ora che assistiamo, in controtendenza, alla produzione continua di linee guida internazionali sempre più restrittive.
Ricordo che negli Stati Uniti la dipendenza da oppioidi è attualmente uno dei problemi più urgenti di politica sanitaria.
Per fortuna l’Italia è lontana da questi scenari transoceanici, ma tutti gli oppiacei sono oppiacei e se trovano terreno predisposto e fertile funzionano come l’eroina o le altre droghe: creano e incrementano la dipendenza!
Oggi è il turno della Cannabis.
Da droga osteggiata e criminalizzata per decenni, è salita alla ribalta, molto velocemente, come “panacea” indiscussa e spesso negata ai pazienti per le più disparate motivazioni (politiche, economiche, culturali, etc).
La Cannabis si avvierà ad un destino simile a quello degli oppiodi?
Penso che al momento la risposta corretta da dare sia NO.
E questo perché mancano evidenze cliniche di buona qualità, che potrebbero in futuro anche aprire nuovi ed auspicabili orizzonti terapeutici.
Attenzione però a non dimenticare che se per gli oppioidi, in uso da decenni, solo ora iniziamo ad avere studi sugli effetti a lungo termine, i dati di sicurezza nel lungo periodo sono totalmente sconosciuti per i cannabinoidi; ricordiamo che parliamo di trattamenti con un potenziale d’abuso tutto da verificare sul lungo termine, che quanto meno impongono una cautela prescrittiva e l’attenzione a non ricadere in scelte “ideologizzate”. “