Editoriale rivista n°4 – Giugno 2013
Dott. Marco La Grua
Il concetto che la componente percettiva e quella affettivo-emozionale dell’esperienza dolorosa costituiscano un’entità inscindibile è talmente evidente che questa asserzione costituisce la parte fondamentale della definizione IASP di dolore.
Meno acquisito e conosciuto è invece il modo in cui le due componenti interagiscono fra di loro; risulta perciò innovativo pensare che questa stretta interrelazione non si esaurisca nel momento dell’esperienza dolorosa, ma che sia invece in grado di provocare modificazioni non solo funzionali ma anche strutturali a carico delle connessioni nervose e come tutto questo possa rappresentare parte delle basi dei fenomeni di cronicizzazione del dolore.
A supporto di questa affermazione recenti studi evidenziano come, in alcuni pazienti con dolore cronico, si assista alla comparsa di atrofia in specifiche aree corticali cerebrali come conseguenza della neuroplasticità del SNC di fronte a stati di dolore persistente e come tali modificazioni si esprimano clinicamente anche in alterazioni comportamentali. Le stesse alterazioni neuroendocrine conseguenti a stati di dolore persistente, la cui comparsa è presente e studiata in stati di dolore cronico, possono contribuire a creare modificazioni strutturali nervose organiche.
In questo numero della rivista il Dr. G. Gallo riporta gli effetti di pratiche di tipo “meditativo” come la Mindfulness che, oltre ad essere estremamente efficaci nel coping di stati di dolore cronico, sembrano in grado influenzare la neuroplasticità e quindi ridurre le modificazioni strutturali cerebrali causate dal dolore persistente; studi di imaging neurofunzionale supportano l’evidenza di tali effetti.
Nel trattamento del dolore cronico perciò queste pratiche potrebbero essere affiancate agli approcci costituiti dal trattamento farmacologico, infiltrativo e neuromodulativo che ci sono sicuramente più familiari, anche se molto rimane da esplorare e convalidare in questo campo.
Nell’articolo successivo ci viene invece proposta dal Dr. M. Zanella una riflessione nel campo della didattica; la tecnologia al giorno d’oggi mette a disposizione sussidi multimediali che ci permettono di esplorare le strutture anatomiche anche in modo tridimensionale, ma il Dr. Zanella richiama la nostra attenzione sulle potenzialità dello studio dell’anatomia direttamente sul corpo umano attraverso i cosiddetti “cadaver workshop”, nei quali è possibile approfondire le proprie conoscenze riguardo all’anatomia, alla topografia delle strutture anatomiche stesse e, non ultima, avere la possibilità di iniziare ad eseguire procedure complesse e potenzialmente rischiose prima di utilizzare le stesse sui nostri pazienti. L’argomento non è affatto scontato, dato che molti di noi si sono dovuti spesso rivolgere a corsi o centri didattici esteri per usufruire di tali metodologie didattiche; alcune Università estere hanno fatto dei loro corsi un fiore all’occhiello, come per esempio l’Università di Innsbruck o quella di Leiden. Siamo felici di apprendere che adesso alcune possibilità, seppur allo stato embrionale, si stanno aprendo anche in Italia, anche se esistono tutt’ora limitazioni imposte dalla legislazione.
Nello spazio libero della nostra rivista riportiamo uno scritto estremamente interessante sotto il profilo conoscitivo che ci ha inviato Giusi Pintori, Presidente di Inversa Onlus, richiamando la nostra attenzione su una patologia misconosciuta come l’idrosadenite suppurativa. La lettura ci spinge ad una autocritica personale riguardo l’insensibilità dimostrata in alcune occasioni dagli operatori sanitari quando si trovano ad affrontare pazienti con malattie “inguaribili” ma non per questo “incurabili”; sotto molti aspetti quello che ci racconta rappresenta la triste storia comune di molti pazienti affetti da patologie croniche, compresi quelli che soffrono per dolore persistente o cronico.
Conclude questo numero della rivista una recensione del libro di Salvatore Natoli, L’esperienza del dolore, che esplora la dimensione filosofico-esistenziale del dolore riflettendo sul significato della esperienza dolorosa e sulle ripercussioni che tale esperienza ha sul “vivere”, ricollegandoci al concetto di dolore “globale” che appartiene soprattutto alla cultura palliativista ma che trova riscontri anche in molti dei nostri pazienti più compromessi dal dolore persistente e cronico.
Auguro una lettura interessante a tutti Voi
https://www.advancedalgology.it/editoriale-dicembre-2012-gianfranco-sindaco/