Editoriale rivista n°2 – Luglio 2012
Prof. Enzo Molina
Studi su larga scala indicano che in Europa, Nord America, Australia ed Asia un adulto su cinque soffre di un dolore cronico da moderato a severo (dati IASP).
A questi numeri impressionanti la Medicina del Dolore ha dato significative risposte: si, avete letto bene – la Medicina del Dolore – ma come fa qualcosa che non esiste ad essere riuscita a fare qualcosa?
Un paradosso, uno dei tanti che la vita ci propone?
No, sono stati quei medici che hanno creduto che un reale problema come il dolore dovesse essere studiato come lo sono state tutte le patologie che conosciamo, basandosi sulla conoscenza di solide basi fisiologiche, patologiche e semeiotiche atte alla formulazione di una diagnosi che permetta una terapia diretta a curare e possibilmente guarire il paziente che soffre.
Per fare questo bisognava avere una grande umiltà e credere che i risultati più significativi si possono raggiungere lavorando insieme, interagendo con altri specialisti, medici e non. L’organizzazione di Corsi e recentemente anche di Master in Medicina del Dolore ha rappresentato l’aspetto vincente perché ha permesso a decine di giovani e meno giovani dottori di imparare grazie ad un approccio multidisciplinare la difficile arte della medicina del dolore.
Elemento certamente di grosso impulso è stato dato dalla emanazione della legge del 15 Marzo 2010 – G.U. 19 marzo 2010, n. 65, n. 38 sulle cure palliative e la terapia del dolore che, aldilà di omissioni riparabili, ha avuto il pregio di rompere duemila anni di immobilità etica.
La terapia del dolore non ha senso senza una diagnosi: come si può indurre un medico alla prese con un paziente con dolore a scegliere una terapia senza sapere dove e quali sono i fattori molecolari alla base di quel dolore? Fino a pochi anni fa quella del dolore era una matrice semplice con pochi elementi; oggi si sta rilevando di una complessità di cui è difficile immaginarne i limiti.
Cartesio per circa trecentotrenta anni ci aveva proposto una teoria molto semplice e quindi molto rassicurante e di facile accettazione: quella di un “filo” diretto tra la bruciatura di un piede ed il cervello del bambino come si vede nel suo celebre disegno. Aveva anche avuto successo perché la teoria in voga ai suoi tempi risaliva addirittura ad Aristotele, sedici e più secoli prima, che aveva centrato nel cuore il capolinea del dolore.
Oggi la matrice del dolore di Melzack e Wall nata nel 1965 e rielaborata negli anni successivi dallo stesso Melzack è ampiamente superata e vede coinvolti nuovi elementi non neuronali a fianco dei mastociti, quali le cellule della glia e le cellule stellate; a fianco dei neurotrasmettitori peptidici dei neuro stimolanti lipidici in grado quindi di entrare nelle cellule riuscendo a indurre nuove espressioni geniche e non. Il trionfo del cervello chimico, quella macchina fantastica che ci ha garantito la sopravvivenza e l’evoluzione come specie e che attraverso una sempre migliore conoscenza ci sta portando a nuovi sviluppi con nuove strategie in diversi campi della medicina.
Albert Eistein diceva “ Non tutto ciò che può essere misurato conta, non tutto ciò che conta può essere misurato” e per anni abbiamo fatto enorme fatica ad approfondire la conoscenza sulla metodologia di funzionamento del cervello.
Ancora oggi non è facile quantificare e spiegare concetti come amore, odio o comportamenti come aggressività o noia, eppure il dolore siamo riusciti a misurarlo sia pure in modo soggettivo certamente facilitati dalla caratteristica quasi unica di questa attività biologica: può assumere il valore “zero” matematico cioè assenza di dimensione.
Bene, abbiamo uno strumento per entrare in quel complesso sistema che è il nostro cervello, stiamo preparando dei professionisti in Medicina del Dolore, l’isola che non c’e, potremo aiutare a guarire tante persone e tanti bambini e questo grazie a chi ha continuato a credere in questa isola.